SISTEMI DI CONTROLLO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA

Il mantenimento dei valori pressori entro determinati limiti è essenziale per consentire un’adeguata perfusione di sangue a tutti i distretti corporei da un lato, ed evitare i danni vascolari provocati da una pressione troppo elevata dall’altro. Esistono dunque dei sistemi di regolazione della pressione sanguigna che possono agire con differente rapidità: entro pochi secondi, entro minuti, entro ore o giorni. Distinguiamo perciò meccanismi di controllo di prima linea, intermedi e a lungo termine. L’effetto dei primi è transitorio, mentre quello degli altri è duraturo. A. Meccanismi di controllo di prima linea. Come si è detto, questi entrano in funzione entro pochi secondi da possibili variazioni della pressione arteriosa, con il risultato di riportarla verso i suoi valori normali.

 I meccanismi di questo tipo sono tre:


• baroriflessi arteriosi
• ischemia del sistema nervoso centrale
• attività di chemocettori arteriosi.

1. I baroriflessi arteriosi vengono messi in moto a partire da zone reflessogene presenti principalmente a livello del seno carotideo e, in seconda istanza, nell’arco aortico e nel ventricolo di sinistra. Queste zone “sentono” l’aumentata o diminuita sollecitazione meccanica che si ha quando si verificano delle variazioni della pressione in eccesso o in difetto ed inviano segnali adeguati al sistema nervoso centrale. Da quest’ultimo vengono emessi degli impulsi efferenti, attraverso il vago ed il simpatico. In presenza di valori pressori elevati, si ha una inibizione del simpatico ed un’attivazione del vago, con conseguente riduzione della frequenza
cardiaca e dilatazione arteriolare periferica. In caso contrario, si ha stimolazione del simpatico, con incremento dell’attività cardiaca e vasocostrizione periferica. Questo meccanismo, di tipo omeostatico, è finalizzato al mantenimento dei valori pressori a livelli il più costanti possibile. Esistono tuttavia delle eccezioni, o meglio il sistema è un poco più complesso di quanto finora descritto. Il sistema nervoso centrale è in grado di elaborare il tipo di segnali che gli vengono afferiti e di emettere a sua volta impulsi a questi adeguati: sarà per esempio differente il tipo di risposta nel caso che una pressione sistolica di 90 mmHg sia determinata da una brusca diminuzione della volemia, dovuta a un’emorragia, o piuttosto che una situazione pressoria del medesimo valore sia da attribuirsi a un meccanismo fisiologico nel corso del sonno. Nel primo caso si avrà una importante stimolazione del simpatico, mentre nel secondo non si verificherà alcuna controregolazione nervosa.
In secondo luogo è opportuno rilevare che questo sistema sembra strutturato per intervenire nel breve periodo, onde affrontare variazioni nuove e repentine della pressione sanguigna. È dimostrato che con il passare del tempo il meccanismo sembra adeguarsi alle nuove condizioni variate: questo giustifica in parte lo stabilizzarsi di valori pressori elevati, una volta che questi siano occorsi. Questi riflessi sono molto importanti per evitare la caduta pressoria che si verificherebbe al passaggio dal
clinostatismo all’ortostatismo, quando, per effetto della gravità, il sangue tenderebbe a dilatare, accumulandovisi, i vasi venosi di capacitanza degli arti inferiori. I baroriflessi arteriosi assicurano una pronta vasocostrizione arteriolare e venulare che mantiene invariata la pressione, nonostante la variata posizione del corpo. Esistono d’altro canto persone, più facilmente in età avanzata, in cui questo sistema di regolazione è difettoso, e questo condiziona una brusca caduta della pressione sanguigna al passaggio dalla posizione supina all’ortostatismo; questi pazienti sono soggetti ad episodi lipotimici, quando assumono la stazione eretta, per diminuito apporto di sangue al cervello, episodi che si risolvono con la caduta a terra, che ripristina una condizione di clinostatismo.

2. La ischemia del sistema nervoso centrale si verifica ogni qualvolta che, per effetto di una significativa diminuzione della pressione arteriosa, il flusso ematico al cervello diviene troppo basso per mantenere la normale attivazione dei neuroni cerebrali. Un centro nervoso situato nel bulbo risponde con una intensa stimolazione simpatica che tende a riportare alla norma la pressione arteriosa.

3. I chemocettori arteriosi sono piccoli gruppi di cellule che sono raccolte in minuti ammassi (pochi millimetri di diametro) situati in prossimità dei barocettori. I chemocettori arteriosi inviano al sistema nervoso centrale segnali che inducono una stimolazione simpatica (e perciò una vasocostrizione e un aumento della pressione) ogni volta che percepiscono una diminuzione della pressione parziale di O2, o un aumento di quella di CO2 nel sangue arterioso. Sono particolarmente utili durante l’esercizio fisico, quando una dilatazione arteriolare a livello muscolare tenderebbe a far calare la pressione arteriosa. In queste circostanze i muscoli consumano O2 e producono CO2 creando le condizioni adatte per la stimolazione dei chemocettori. Meccanismi di controllo intermedi. Questi sono meccanismi che entrano in funzione entro alcuni minuti dall’instaurazione di variazioni della pressione arteriosa.
Il più importante è rappresentato dal sistema reninaangiotensina. Il merito della scoperta di questo sistema di regolazione va al fisiologo Goldblatt, il quale fu in grado di dimostrare che la riduzione mediante pinzatura del calibro dell’arteria renale è in grado di determinare nel cane l’insorgenza di un’ipertensione arteriosa. Tale ipertensione è mediata dalla liberazione di una sostanza, prodotta dall’apparato iuxtaglomerulare renale, e perciò denominata renina.

In realtà la renina è prodotta a partire da un precursore originale, chiamato preprorenina che viene degradato a formare un precursore intermedio, detto prorenina. La preprorenina è sintetizzata e convertita a prorenina nelle cellule iuxtaglomerulari e in molti altri tessuti, quali il cervello, le cellule endoteliali del sistema vascolare periferico, le gonadi e la midollare e la corticale del surrene. La produzione di renina può perciò avvenire in molte sedi nell’organismo, ma l’apparato iuxtaglomerulare resta la più importante. Le cellule del primo tipo sono destinate alla produzione di renina, che viene sintetizzata e liberata in rapporto a determinati, opportuni stimoli.

Questi stimoli sono rappresentati da:


• eccitazione del barostato renale, funzione che viene esercitata dalle cellule granulose dell’arteriola afferente;

• a una ridotta pressione di perfusione corrisponde un’aumentata produzione di renina, mentre il contrario avviene se i livelli pressori sono aumentati;
• attività di feed-back negativo esercitate dall’angiotensina II e dal potassio dietetico, un eccesso del quale sopprime la produzione di renina;
• azione del sistema simpatico, attraverso la stimolazione dei recettori -adrenergici, che inducono la produzione di renina;

• contenuto di sodio a livello tubulare. Il sodio viene largamente riassorbito a livello del tubulo prossimale;
se il carico di sodio al termine del tubulo prossimale è ridotto, viene emesso un segnale che stimola la produzione di renina. La funzione della macula densa è dunque quella di sensore della concentrazione di sodio al termine del tubulo contorto prossimale. Il sistema renina-angiotensina riveste una notevole importanza nella regolazione della pressione arteriosa. La renina è un enzima proteolitico, che agisce su un substrato prodotto dal fegato, l’angiotensinogeno, staccandone un decapeptide denominato angiotensina I. Tale sostanza perde due residui aminoacidici della sua molecola ad opera di un enzima, l’enzima convertitore (che viene prodotto soprattutto a livello polmonare) e si forma un octapeptide molto potente, l’angiotensina II. Dall’angiotensina II ha origine un eptapeptide, l’angiotensina III, che è dotata della stessa attività dell’angiotensina II, ma è presente in piccole quantità e gioca un ruolo poco rilevante rispetto alla preminente angiotensina II.
Quest’ultima ha diverse azioni importanti. La prima consiste in un’attività vasocostrittrice diretta, con riduzione del raggio medio arteriolare e conseguente aumento della pressione sanguigna. L’attività vasocostrittrice dell’angiotensina II ha importanti effetti a livello renale, dove questa sostanza provoca una riduzione del filtrato glomerulare per “raggrinzimento” dei glomeruli e diminuzione della loro superficie filtrante. La contrazione della parete arteriolare a monte delle arteriole efferenti determina una riduzione della pressione di questi vasi e facilita il riassorbimento di sodio e acqua nei tubuli prossimali. Infatti, i capillari che circondano i tubuli prossimali derivano dalle arteriole efferenti e l’azione di richiamo sul fluido assorbito attivamente nei
tubuli prossimali è tanto maggiore quanto più bassa è la loro pressione idrostatica, in relazione alla pressione osmotica delle proteine che vi sono contenute. L’effetto netto è una riduzione della diuresi e dell’escrezione del sodio. Un’altra azione fondamentale è quella svolta a livello della corteccia surrenalica, dove l’angiotensina II stimola la produzione di aldosterone.

Questo ormone è di primaria importanza nella determinazione del riassorbimento del sodio e dell’acqua a livello del tubulo distale
del rene. Il sodio urinario sfuggito al riassorbimento nelle parti più a monte del nefrone viene scambiato con altri ioni, e in prima istanza con il potassio, che viene così escreto, e secondariamente con l’H+, che viene ricavato in loco dalla reazione H2O e CO2, mediata dall’enzima anidrasi carbonica. Si forma acido carbonico, dissociato in H+ e HCO3 –, e l’H+ che si ottiene viene scambiato con il sodio. Questo processo di riassorbimento del sodio è dunque promosso e condizionato dagli ormoni della corteccia  surrenalica ad azione mineralattiva, primo fra tutti l’aldosterone. Un aumentato riassorbimento di sodio provoca aumento del riassorbimento dell’acqua, quindi un aumento della massa circolante e di qui della pressione arteriosa. Bisogna inoltre tenere presente che il sodio trattenuto aumenta la sensibilità delle arteriole a stimoli di costrizione, contribuendo quindi ulteriormente
ad incrementare i valori pressori. Effetti secondari dell’angiotensina II sono un’azione a livello cerebrale, che determina un aumento di sollecitazioni sul sistema simpatico, ed una capacità di stimolare il rilascio di catecolamine (adrenalina e noradrenalina) a livello della midollare del surrene. Questi effetti sono complementari all’attività ipertensiva che l’angiotensina II esercita attraverso la vasocostrizione. Altro effetto secondario, pure mediato a livello cerebrale, è una azione positiva sul meccanismo della sete. La stimolazione alla introduzione d’acqua, attraverso la sensazione della sete, è complementare all’attività dell’angiotensina II sull’incremento del volume del fluido extracellulare determinato dalla secrezione di aldosterone. Infine, l’angiotensina II esercita un feed-back negativo sulla produzione di renina. L’efficienza del sistema renina-angiotensina per effetto di soli meccanismi vasocostrittori (e cioè indipendentemente da variazioni nella escrezione di sodio) comporta una correzione delle variazioni della pressione arteriosa compresa tra metà e due terzi. La efficienza è però completa se si aggiunge l’effetto che la consensuale produzione di aldosterone esercita sulla escrezione di sodio.

Esistono altri meccanismi intermedi di regolazione della pressione arteriosa che si verificano quando questa aumenta. Uno è rappresentato dal cosiddetto rilasciamento da stiramento, ossia da un rilasciamento della muscolatura liscia arteriolare per effetto dello stiramento prolungato di questi vasi indotto dalla sollecitazione meccanica dovuta all’aumento della pressione. Questo rilasciamento incrementa il raggio medio arteriolare e tende a ridurre la pressione. Un altro meccanismo è conseguente alla aumentata filtrazione di fluido attraverso la parete dei capillari che è causata dalla maggiore pressione idrostatica alla loro estremità arteriosa che si ha quando sale la pressione arteriosa sistemica. Questa aumentata filtrazione tende a ridurre la volemia e a fare scendere la pressione.L’efficienza del sistema renina-angiotensina per effetto di soli meccanismi vasocostrittori (e cioè indipendentemente da variazioni nella escrezione di sodio) comporta una correzione delle variazioni della pressione arteriosa compresa tra metà e due terzi. La efficienza è però completa se si aggiunge l’effetto che la consensuale produzione di aldosterone esercita sulla escrezione di sodio.

Esistono altri meccanismi intermedi di regolazione della pressione arteriosa che si verificano quando questa aumenta.


Uno è rappresentato dal cosiddetto rilasciamento da stiramento, ossia da un rilasciamento della muscolatura liscia arteriolare

per effetto dello stiramento prolungato di questi vasi indotto dalla sollecitazione meccanica dovuta all’aumento della pressione. Questo rilasciamento incrementa il raggio medio arteriolare e tende a ridurre la pressione. Un altro meccanismo è conseguente alla aumentata filtrazione di fluido attraverso la parete dei capillari che è causata dalla maggiore pressione idrostatica alla loro  estremità arteriosa che si ha quando sale la pressione arteriosa sistemica. Questa aumentata filtrazione tende a ridurre la volemia e a fare scendere la pressione.C. Meccanismi di controllo a lungo termine. I meccanismi di controllo di prima linea ed intermedi
non sono in grado di correggere completamente le possibili variazioni della pressione arteriosa, ma debbono essere considerati come dei dispositivi di sicurezza che, entrando rapidamente in funzione, evitano che i valori pressori si discostino troppo da quelli normali. Il solo meccanismo di controllo che è in grado di ovviare in maniera completa alle variazioni di pressione è quello a guenza dei più elevati valori di filtrato glomerulare), è di grado minore se calcolato come frazione del filtrato glomerulare (per ragioni opposte a quelle che abbiamo esposto a proposito dell’azione antidiuretica dell’angiotensina II). Calcolando che la quantità di liquido che filtra attraverso i glomeruli e che viene riassorbita nei tubuli è notevolmente superiore al volume urinario, è comprensibile che piccolissime variazioni di questi parametri possano avere importanza nel determinare sostanziali modificazioni nella escrezione del sodio.

Un altro meccanismo che è stato considerato è la produzione di ormoni natriuretici che può verificarsi quando sale la pressione arteriosa. Uno di questi è stato di recente identificato ed è chiamato “fattore natriuretico atriale” o “atriopeptina”. È un polipeptide derivato da un precursore contenuto in granuli secretori che si trovano nei miociti degli atri. Esso viene rilasciato quando gli atri sono distesi (come può capitare quando è aumentata la massa circolante o quando questa viene “centralizzata” per contrazione dei piccoli vasi, comprese le venule) ed agisce incrementando il filtrato glomerulare ed inibendo la secrezione di renina e aldosterone (altre sue azioni sono una dilatazione arteriosa e venulare). Un secondo ormone natriuretico era stato
originariamente postulato dopo la dimostrazione nel siero di ipertesi di un fattore solubile, ad azione simile a quella del glucoside cardioattivo uabaina. Il suo meccanismo d’azione consisterebbe nell’inibizione della pompa del sodio (il processo attivo che espelle sodio dalle cellule scambiandolo con il potassio) che, come è noto, agisce attraverso una ATPasi (detta Na+, K+ ATPasi). Se l’aumento della pressione comportasse una stimolazione di questo ormone natriuretico uabaina-simile, il suo effetto sulla Na+, K+, ATPasi, e quindi sul trasporto del sodio a livello dei tubuli renali prossimali, determinerebbe un’inibizione del riassorbimento attivo di questo ione e di conseguenza una sua aumentata escrezione (ciò potrebbe spiegare la natriuresi da pressione). Recentemente, questo fattore è stato purificato e si è dimostrato che, almeno in parte, è rappresentato proprio dalla uabaina o da un suo isomero. Questa sostanza sarebbe perciò un costituente naturale dell’organismo, e in questo caso la farmacologia avrebbe anticipato la fisiologia. La struttura dell’uabaina è di tipo steroideo e, non sorprendentemente, si è visto che l’uabaina endogena è prodotta nei corticosurreni. Non è chiaro quale meccanismo regoli la secrezione di questo particolare ormone natriuretico.

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